La storia

Il patrimonio archeologico del nuorese

Il territorio del Nuorese conserva uno dei paesaggi archeologici più densi e significativi della Sardegna, con numerose testimonianze che vanno dalla Preistoria fino all’età romana.

L’area appare frequentata almeno dal Neolitico, quando si inizia a vedere la presenza stabile di piccole comunità organizzate, dedite all’agricoltura e all’allevamento. Sebbene non si abbiano tracce degli abitati dell’epoca, rimangono le testimonianze degli spazi funerari, in particolare si conservano numerose tombe ipogeiche scavate nella roccia, note come domus de janas. Queste sepolture collettive, che si datano tra il V e il III millennio a.C., oggi tutelate come Patrimonio UNESCO, si ritrovano su tutto il territorio sia in forma isolata sia in piccole necropoli (es. la necropoli di Istevene a Mamoiada), mostrando spesso decorazioni scolpite, come false porte, focolari, corna taurine, di forte valore simbolico.

Al Neolitico Recente e all’età del rame rimandano invece i menhir e le prime espressioni megalitiche (come Sa Perda Pintà di Mamoiada e Biru ’e Concas a Sorgono), che marcano il territorio anche in chiave cultuale e identitaria. In parallelo si diffondono sepolture tipo dolmen e allées couvertes (documentate a Fonni, Austis, Ovodda e Tonara) che attestano nuove pratiche funerarie collettive diffuse su scala regionale.

Con l’età del bronzo il paesaggio viene gradualmente ridefinito dai nuraghi (1800-1200 a.C.), da quelli arcaici o protonuraghi (es. Talei di Sorgono), ai più comuni monotorre e a quelli complessi, che si moltiplicano a presidio di crinali, pianori e nodi di passaggio. I nuraghi mostrano un sistema insediativo ben organizzato su tutto il territorio, con trasformazioni nel tempo.

Alcuni complessi — come Nolza a Meana Sardo — si distinguono per monumentalità e articolazione architettonica, mentre i villaggi circostanti evidenziano un’organizzazione stabile con abitazioni, aree di lavoro e spazi comunitari. La densità di nuraghi è particolarmente elevata in alcuni ambiti, come Atzara (22 nuraghi), Fonni (25) e Sorgono (27), a testimonianza di una reticolazione insediativa capillare che sfrutta alture, valloni e altopiani.

Gli aspetti funerari dell’età nuragica sono rappresentati dalle tombe di giganti, ben documentate in diversi comuni (ad es. Madau e Bidistili a Fonni, Nieddío a Ovodda, Pastoreddu e Abbagadda ad Atzara), mentre in altre aree (come Aritzo, Ollolai o Tonara) tali strutture risultano assenti o non più riconoscibili. La distribuzione suggerisce differenziazioni interne nelle scelte rituali e nelle forme della memoria collettiva.

Dal Bronzo Finale compaiono luoghi di culto come pozzi e fonti sacre, isolati o all’interno dei villaggi, che testimoniano un cambiamento nelle pratiche religiose, oltre che nella società, iniziato col declino dei nuraghi. Tra di essi risalta sicuramente la fonte sacra di Su Tempiesu di Orune, l’unica nell’isola a conservare le parti superiori.

Un ruolo di primo piano spetta infine ai grandi santuari che dal Bronzo Finale alla prima età del ferro emergono come poli religiosi e politici di portata territoriale: Gremanu (Fonni), straordinario per il sistema idraulico; Romanzesu (Bitti), con anfiteatro e templi a megaron; Abini (Teti), celebre per i bronzi votivi; Noddule (Nuoro), dove nuraghe, villaggio, fonte sacra e tempio si integrano in un unico complesso; Nurdole (Orani) con un nuraghe convertito in tempio, centro di contatti e scambi con l’esterno. Molti di questi siti, spesso posti lungo le principali vie naturali di transito, dialogano nella lunga durata con l’asse viario romano che collegava le città di Olbia e Karales attraversando le aree più interne e montuose dell’isola.

Poche sono le tracce di presenza fenicia e punica nell’area, che si riducono a materiali di importazione ritrovati principalmente nei contesti cultuali.

Per quanto riguarda l’epoca romana le evidenze archeologiche restano ancora molto parziali e poco valorizzate, ma suggeriscono una romanizzazione abbastanza precoce delle aree interne: le tracce più antiche risalgono all’età repubblicana e sono collegabili solo in parte alla penetrazione militare e agli scontri ricordati dalle fonti letterarie.

A partire dalla fine del I secolo a.C. e soprattutto con l’inizio di quello successivo, emerge chiaramente una sempre più capillare occupazione del territorio: risalgono principalmente all’età imperiale le numerose aree insediative individuate in tutto il Nuorese, perlopiù microagglomerati a vocazione agricola, commerciale ma anche di carattere militare o religioso, concentrati soprattutto a ridosso della principale arteria stradale, l’aliud iter ab Ulbia Caralis, che ebbe un ruolo fondamentale per il controllo e la stabilizzazione della regione.

Le evidenze più eloquenti si registrano soprattutto in prossimità degli snodi viari già ricordati nell’Itinerarium Antonini, come Caput Tyrsi (tra Bitti e Buddusò), nei pressi di un presidio militare del I secolo d.C., e Sorabile (Fonni), un complesso edilizio solo parzialmente messo in luce nell’Ottocento e che ha restituito importanti testimonianze epigrafiche di età imperiale.

Dimostrazioni lampanti del potenziale archeologico della regione emergono anche nei territori di Sorgono, Meana Sardo e, in maniera ancora più eloquente, negli insediamenti di Soroeni (Lodine) e soprattutto di Sant’Efis (Orune), di eccezionale importanza per l’ottimo stato di conservazione delle strutture e per la complessità dei rinvenimenti.

In altri casi l’assetto insediativo e demografico delle aree interne è meglio decifrabile grazie al contributo delle fonti epigrafiche e toponomastiche, come ad Austis (in età medioevale Augustis, un poleonimo che richiama chiaramente il nome del primo imperatore), dove è stato individuato un presidio militare di età augustea sorto in prossimità di un insediamento civile.

Dalla distribuzione topografica dei siti emerge innanzitutto la frequentazione di aree insediative di età nuragica, con percentuali talvolta molto alte (come a Nuoro, Bitti e Orune) e con casi emblematici e meritevoli di maggiori approfondimenti (ad es. Noddule a Nuoro o il villaggio del nuraghe Nolza di Meana Sardo): ad essere riutilizzati sono anche gli stessi monumenti funerari di età preistorica e protostorica (ad es. a Nuoro e Sorgono).

Allo stesso tempo il sistema stradale romano, invero caratterizzato da una scarsissima visibilità archeologica, pur con rarissime eccezioni (ad es. i due ponti a Fonni e Gavoi), mostra una straordinaria coincidenza con la viabilità moderna (ad es. a ridosso dell’odierna Strada Statale 389).

La regione del Nuorese appare ben inserita anche all’interno delle principali direttrici commerciali ancora in età tardoantica, come suggeriscono per esempio i materiali importati e le testimonianze di ambito paleocristiano: si evince dunque una Sardegna interna tutt’altro che chiusa agli apporti culturali esterni, come del resto documentano anche le prove linguistiche e la stessa toponomastica.

Nel complesso emerge un territorio fortemente popolato e strutturato dall’età preistorica alle fasi storiche vere e proprie. La disponibilità di risorse (acqua, pascoli, litotipi), unita alla posizione di corridoio interno tra monti e pianure costiere, spiega la capillarità del popolamento, con scelte insediative che mostrano un uso sapiente dello spazio e controllo del territorio.

Le testimonianze archeologiche delineano una rete territoriale coesa, in cui monumenti funerari, cultuali e insediativi concorrono a un paesaggio culturalmente codificato. La continuità di frequentazione dal Neolitico all’età romana fa di quest’area un museo a cielo aperto che racconta la lunga storia delle comunità della Sardegna antica.

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I menhir di Biru e Concas a Sorgono